Uniform, che l’incubo abbia inizio

Dovete sapere che la piaga sociale per ogni madre con figli nella scuola inglese è la UNIFORM.

A noi italiane l’idea della uniform all’inizio piace. Questo fatto di azzerare qualsiasi differenza tra i nostri piccoli grazie a capi d’abbigliamento scolastici tutti uguali suona così democratico, così corretto che noi mamme ci affezioniamo subito all’idea. Li vesti il primo giorno di scuola e ti scende la lacrima. Che emozione, vestiti di tutto punto con il blazer, il bermuda e il calzettone alla Baby George. Sembrano dei piccoli Lord e tu non vedi l’ora di fare una foto e postarla su Facebook.

Ma l’idillio con la uniforme scolastica, ve lo dico, finisce subito ossia finisce quando la lavi per la prima volta. Prendi in mano la giacchetta e capisci perché, quando hai dato il bacino a tua figlia all’ingresso della scuola, sei rimasta folgorata da una scarica elettrica a 120 volt. Era il suo incantevole blazer. Non so di che materiali siano fatti questi indumenti, ma ogni volta che li tocchi prendi la scossa, se li lavi non si bagnano e se le stiri è il ferro che si brucia. Se li metti in lavatrice poi, escono già asciutti e inamidati che manco avessi messo l’Apretto al posto del Coccolino. I pantaloni della tuta di Viola una volta lavati non li piego, li appoggio all’anta dell’armadio la sera prima e stanno in piedi da soli tutta la notte.

È a questo punto che ti prende la nostalgia di quelle morbide T-shirt di cotone dell’Oviesse, quelle che paghi 2 e prendi 3 a 12,99 euro. Avercela quella qualità!

La vera tragedia però si compie nei giorni in cui i bimbi fanno sport. Devono cambiarsi da soli, togliersi la school uniform e indossare una delle altre innumerevoli divise sportive che sono ovviamente identiche per ogni bimbo. I pargoli vengono raggruppati tutti in un’unica stanza, hanno di solito 30 secondi netti per cambiarsi, con l’insegnante che fa da time keeper. Quando tuo figlio torna da scuola, sei fortunata se di tutto quello che indossa almeno le mutande sono le sue. L’anno scorso Viola è tornata a casa con due scarpe destre di due numeri diversi (cioè indossava un 35 e un 36 con la punta rivolta dalla stessa parte) più un’altra scarpa singola, dentro lo zaino, del tutto ignota. Il che vuol dire che un bambino è tornato a casa beato beato con una scarpa sola. Capite perché parlo di tragedia?!

A questo punto partono Whatsapp infiniti tra mamme per lo scambio e la restituzione delle cose, ma devi mettere in conto che un 10% lo recuperi, l’altro 90% si volatilizza. Sparisce. Chiami l’insegnante, vai al Lost&Found della scuola, fai stalking a tutti i genitori, ma niente: i pezzi che ti mancano non li rivedi più.

Quest’anno, dopo aver perso e ricomprato tre giacconi, due gonnelline e 5 T-shirt per il club di football, ho sviluppato una teoria. Secondo me questi tessuti non sono nemmeno di plastica, sono molto più futuristici. Provengono direttamente da materiali di scarto e riciclo di qualche compagnia petrolchimica russa. Devono essere composti da polveri degradabili ad azione rapida. I bambini sudano e, al contatto con il liquido ipotonico del corpo, i loro vestitini si decompongono. Non c’è altra spiegazione. Cosi come non c’è nessun’altra spiegazione al sorrisetto beffardo di quella iena della proprietaria del negozio di Uniform che quando ti vede entrare ti saluta cosi: is anything lost??

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